Del perché in molte lingue,”verso” e “senso” siano sinonimi.
C’è un modo, (uno solo? Non so), ma ce n’è uno buono, per unire la musica alla parola poetica.
L’ho visto produrre, organizzare ed esigere a Silvana Küntz il giorno che, a Cumiana io e Paolo Innarella e Susanna Crociani ci siamo agglutinati intorno ai versi suoi e di altri (ndr quel giorno quasi tutti inediti di SIlvana e una poesia di Marco).
Silvana conosce la differenza tra limite e frontiera, non sorveglia ma pretende che chi le sta intorno riconosca il limite sacro del verso e lo rispetti. Come tutte le sacerdotesse si avvale nello spazio rituale di un alter ego, una persona di cui si fida, che la protegga e guidi gli altri nel tempo giusto della libera improvvisazione: Susanna sa tutto. Conosce il segreto, sa che noi musicisti non dobbiamo suonare sottofondo al testo, ché il dire è bastante a definirne il contorno, conosce il tempo di tacere e porge spunti, liberi come lei.
Spesso si suona sotto la parola quando non ci si fida della sua forza; ma se si lascia fare alla dizione buona, una come quella di Silvana, che non suggerisce ma propone, allora non serve suonare “mentre”: quel mentre serve a darsi il tempo di essere toccati, di fare spazio, di rifornirsi di suono, di riconoscere dentro di sé la corda del pianto, quella della gioia, quella dell’orda e a darsi il “motivo” di suonarle.
Perché la poesia nega la “ragione”, che viene da “ratio” e consegna il “motivo”, che viene da “motus”, ed è solo con quest’ultimo che si può suonare in una esperienza intersoggettiva-toccante. Occorre ascoltare, è il lancinare dei versi a mettere in moto le mani e il canto ed a dargli, almeno provvisoriamente, un senso.
Massimo Carrano
Cumiana (To), Jazzit fest giugno 2016