Se l’occhio non si esercita, non vede

Se l’occhio non si esercita, non vede
se la pelle non tocca, non sa
se l’uomo non immagina, si spegne
quasi ho pudore a scrivere poesia
come se fosse un lusso proibito
ormai alla mia vita.

Ma ancora in me il ragazzino canta
seppure esperto di fatiche e lotte
meravigliato dai capelli bianchi
e al varco di un malanno
scrive versi.

Nel mio bisogno di poesia,
gli uomini,
l’acqua, il pane, la terra
son diventati le parole mie.

Danilo Dolci | dalla raccolta Il limone lunare

poesia proposta da Enrica Montrone – collettivo Poesia in Azione

*Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 dicembre 1997) è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza italiano. Fu soprannominato Gandhi della Sicilia o Gandhi italiano (quest’ultimo soprannome condiviso con altre personalità, come Aldo Capitini e Franco Corbelli). La madre, Meli Kontelj, è una donna slovena molto religiosa, mentre il padre, Enrico Dolci, è un ferroviere originario di Rovato (BS), agnostico, il cui lavoro determina per la famiglia continui cambi di residenza.[1] Danilo compie i primi studi in Lombardia, conseguendo nel 1943 il diploma presso un Istituto tecnico per geometri e nello stesso anno la maturità artistica a Brera[2]. Lo attrae la musica classica, soprattutto Johann Sebastian Bach. Legge autori moralmente impegnati come Tolstoj, Russell, Voltaire, Seneca.[3] Durante gli anni del fascismo sviluppa presto una decisa avversione alla dittatura. Nel tortonese – dove risiede con la famiglia negli anni dopo la guerra – viene visto strappare manifesti propagandistici del regime. Nel 1943 rifiuta la divisa della Repubblica Sociale Italiana e tenta di attraversare la linea del fronte, ma viene arrestato a Genova dai nazifascisti. Riesce a fuggire e ripara presso una casa di pastori in un piccolo borgo dell’Appennino abruzzese.[4] Terminata la guerra, studia Architettura alla Facoltà della Sapienza di Roma, dove segue anche le lezioni di Ernesto Buonaiuti. Torna poi a Milano, dove conosce Bruno Zevi. Insegna presso una scuola serale di Sesto San Giovanni e, tra gli operai che siedono dietro i banchi, conosce Franco Alasia, che diventerà tra i suoi più stretti collaboratori. Prosegue gli studi di Architettura al Politecnico di Milano, ma nel 1950, poco prima di discutere la tesi, decide di lasciare tutto per aderire all’esperienza di Nomadelfia – comunità animata da don Zeno Saltini – a Fossoli (frazione di Carpi).[5] Dopo che una sua lunga lirica, dal titolo Parole nel giorno, è raccolta nell’antologia Nuovi poeti[6], negli anni ’50 comincia a essere conosciuto come poeta. (fonte Wikipedia)

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