Sali sulle mie spalle
e attraversiamo il fiume

Silvana è una poetessa di prim’ordine, lo è perché i suoi versi sono pieni di luce, di quella luce che illumina e ristora l’anima.

Questa sua ultima silloge poetica ha per titolo Viscera (Collettiva Edizioni), a voler dire “tutto ciò che è all’interno del corpo”, “il groviglio degli organi corporali“, pertanto la corporeità, la fisicità, la materialità, il visibile: l’essere corpo e, dunque, l’esperienza e la presa di coscienza del nostro essere nel mondo.

Ma già nell’antica Roma l’espressione “quae mihi in visceribus haerent” significa “ciò che è scolpito nel profondo dell’anima mia”, e dunque l’invisibile, l’immateriale, l’inafferrabile, lo sfuggente, perciò l’aggroviglio dell’anima e del cuore.

È alla parola poetica che spetta il compito di narrare quel che accade nella quotidianità, il contingente, il precario, ma ancor più scandagliare i reconditi recessi dell’anima. È compito del poeta svelare chi si è, tirare fuori da noi sentimenti che non sappiamo di avere, trovare le parole che rivelano il segreto che il mondo contiene.

È allora che il poeta vive attimi di brillanza, quando trova la sua musica e la spavalda bellezza della vera parola. E la sua parola si fa disvelamento di sé, del suo sapere, del suo sentire, del suo cammino nel Tempo, del suo stare dentro la vita e coglierne il suo mistero, rubando i discorsi che stanno sulla strada e nelle viscere e ricercando una porzione di stelle in quel cielo che ci sovrasta, sì, perché è il cielo che ci rivela a noi stessi, è la serenità del cielo ad accendere le parole del mondo: sopra c’è sempre il cielo.

La poesia di Silvana non è artificiata, è fatta di ascolto, di luce, di musica. È fatta di immagini: il fiume che va come un serpente ubriaco; le città lenzuolate nel loro fumo nero; le muffe che l’umidità crea sui muri delle smorte acque; il sole gagliardo che si mangia la luce; i venti che al soffio sfrenato del vento cantano a testa bassa; le nuvole che ti allargano il cielo; la casa baciata dall’azzurro; le nubi in corsa davanti alla luna; l’allucciolìo di stelle dentro l’azzurra libellula.

Questa la poesia di Silvana: la nitidezza, la brillantezza, il movimento, il suono più pieno, le associazioni insolubili, una sintassi a volte singolare, il pensiero che spesso si ferma nella lettura dei suoi versi. Grazie al suo sfrenarsi a intessere cucire intrecciare piallare estrarre la parola.

La parola che tende il filo ininterrotto del tempo che tiene insieme la memoria di chi fu e di chi rimane; la parola che custodisce e rivela l’assoluto che siamo; la parola duale, stupenda e tremenda, potente e fragile, benedetta e maledetta, simbolica e diabolica, la parola che è pharmakon, ovvero come è nel senso della parola greca è «medicina» e «veleno»: comunica e isola, consola e affanna, salva e soffoca.

Lei capace di unire tanta bellezza, tante seduzioni e tanti ostacoli, tanta luce e tanta oscurità, perché, come dice in alcuni suoi versi, “Tu stai dentro a un movimento duale / potente e fragile, ogni sillaba è una pugnalata / ma anche un’alchimia // nel cuore della notte brumosa / anche impregnata di fumi e sudore e paura / io non ho mai smesso di sapere chi sei” e poi “so che è la notte a dare senso / al rutilante giorno di domani”.

La sua poesia si fa musica singolare e continua…l’arte poetica ti appare vestita di sillabe, organizzata in frasi…la parola assurge alle potenze elementari di una nota, di un colore, di una chiave di volta.

Allora si impone la concezione suprema di un’alta sinfonia, che unisce il mondo che ci circonda con il mondo che ci tormenta, costruita secondo un’architettura rigorosa, senza ricorrere al pesante aiuto di filosofie banali, di melliflue o false tenerezze e descrizioni inanimate. Una incredibile perfezione non disgiunta dalla sottile analogia e dalla musica appropriata: è tutto qui il fascino di questa silloge poetica, in questo “Sali sulle mie spalle e attraversiamo il fiume“.

Prof. Nicola Pice

Viscera | Bitonto (Ba) | 7 settembre 2024

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